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Francesca Brencio: Recensione a In Defence of the Human Being. Foundational Questions of an Embodied Anthropology, by Thomas Fuchs, Oxford: Oxford University Press, 2021, 272 pages, ISBN: 9780192898197
Il recente lavoro di Thomas Fuchs è un libro denso di interrogativi e, allo stesso tempo, è anche un atto di resistenza. Mette in discussione l’immagine dell’umanità tipica della nostra era, ponendoci davanti all’interrogativo se siamo disposti ad arrenderci ad un’immagine dell’uomo come prodotto di algoritmi, analisi dei dati e proiezioni dell’intelligenza artificiale; o, al contrario, se c’è ancora una qualche possibilità di ridisegnare l’immagine dell’essere umano come un essere incarnato, libero, auto-determinantesi e impregnato di socialità. La sua prospettiva si colloca sul versante diametralmente opposto a quello di Yuval Noah Harari, il ben noto scrittore pop-scientifico, recentemente descritto come un narratore molto abile nello srotolare il bandolo del sensazionalismo intorno ai cosiddetti “fatti” scientifici, attraverso un linguaggio emozionalmente persuasivo (Narayanan 2022). Nel suo fortunato libro Homo Deus: A Brief History of Tomorrow (2017), Harari considera l’homo sapiens al pari di un desueto algoritmo, e più in generale suggerisce che tutti gli organismi altro non sono che semplici algoritmi, al punto tale da ridurre la vita stessa ad un’elaborazione di dati. Molte delle sue teorie confondono l’attività celebrale con la vita della mente, ed ignorano la complessa e densa relazione che caratterizza il rapporto tra il cervello, il corpo e l’ambiente circostante. Al contrario, Fuchs propone un punto di vista sull’umano profondamente diverso e volto alla difesa della libertà e della dignità umana a partire da un’attenta critica di ogni approccio scientista e riduzionista, figlio di quel cerebrocentrismo che tanto caratterizza la comprensione della vita della mente in generale e della salute mentale in particolare.
Non solo. In Defence of the Human Being è anche un libro di resistenza contro la strabordante considerazione del virtuale e metaverso, per riaffermare con radicalità la centralità della dimensione corporea e incarnata del vivente. È una resistenza filosofica quella di Fuchs volta a difendere un’antropologia incarnata al cui centro vi e’ la fondamentale idea della nostra corporeità e vitalità come origini dell’esistenza. Attraverso questo volume, l’autore pone l’accento sulla libertà concepita come il risultato di un’azione auto-determinante che sta a fondamento della dimensione privata e sociale della nostra vita. Queste caratteristiche costituiscono le premesse per il raggiungimento di un obiettivo più alto, sia filosoficamente che pragmaticamente: cioè concepire l’esercizio della medicina da una prospettiva umanistica, capace di smarcarsi dai limiti del cerebrocentrismo con cui sovente viene studiata e trattata la salute mentale. In Defence of the Human Being è un libro che abbraccia diverse regioni del sapere: dalla fenomenologia all’intelligenza artificiale, dalla psichiatria alla filosofia morale, dall’enattivismo alle neuroscienze. In questo dialogo tra differenti branche del sapere, il lettore è invitato a liberarsi da molti aspetti delle narrazioni contemporanee intorno alle promesse delle tecnologie e dalla predominanza della prospettiva neurocentrica sulla salute mentale per far posto ad uno sguardo sull’umana presenza nella sua nuda e complessa dimensione incarnata.
Il filo d’Arianna che lega le varie parti del volume e’ costituito dalla critica che Fuchs muove al riduzionismo naturalista, cioè a quella posizione teoretica e scientifica volta a semplificare la complessità della costituzione antropologica dell’umano a favore del mero sostrato biologico, tenendo ben presente che la nostra socialità, il nostro benessere, la reciproca relazione che ci lega all’ambiente e alla storia sono elementi che travalicano la costituzione biochimica del nostro cervello.
Contro quelle prospettive che considerano l’essere umano principalmente come un insieme di processi neuronali, algoritmi genetici e lo interpretano sulla base di andamenti comportamentali digitalizzati, Fuchs riafferma la centralità della soggettività incarnata intesa non come un epifenomeno dell’attività cerebrale o di processi di simulazione (come insegna la Simulation Theory) ma come quella carica vitale che costituisce la persona nel suo nucleo più intimo. Attingendo alle risorse della tradizione fenomenologica classica e dei più recenti sviluppi dell’enattivismo, Fuchs difende l’idea di un umanesimo descritto a partire da una prospettica ecologica. Sulla scia delle riflessioni che avevano attraversato il suo precedente volume, Ecologia del cervello, l’autore pone al centro di questo nuovo lavoro gli aspetti più rappresentativi della finitezza umana: il corpo, la dimensione corporeale ed incarnata dell’essere vivente e l’intercorporeita’ della nostra vita sociale.
Il libro è diviso in tre grandi sezioni. La prima, intitolata Intelligenza artificiale, Transumanesimo e Virtualità, consiste di tre capitoli. Nel primo, l’autore affronta una densa e sistematica critica dell’intelligenza artificiale e della diffusa tendenza a rimpiazzare la vita umana e la sua capacità di agire con responsabilità dalle macchine. Fuchs sottolinea come il fenomeno della smaterializzazione sia una caratteristica tipica della nostra età, cioè la trasformazione di tutto ciò che fisicamente esiste in numeri e segni, come se la mente fosse riducibile ad una somma di algoritmi in alcun modo collegata materialmente al corpo fisico. In questo processo di smaterializzazione, le esperienze e gli eventi perdono i loro significati proprio perché’ vengono ridotti a una serie di informazioni. Questa riduzione non tiene conto del fatto che ogni informazione è possibile solo perché’ vi e’ un essere vivente cosciente che la utilizza e dunque ne legittima l’esistenza. Senza la persona, che li interpreta e li usa, tutte queste informazioni e dati non servono a nulla. E’ esattamente su questo punto che sta il significato essenziale della soggettività incarnata la quale non consiste in una serie di informazioni che possono essere uploadate nella mente al pari di quanto accade con un processore. Le persone non sono programmi: le persone possiedono una “posizione eccentrica” che le rende uniche rispetto al paragone con ogni forma di intelligenza artificiale o con ogni vita artificiale mancante di auto-consapevolezza.
Nel secondo capitolo Fuchs fornisce un’accurata critica del concetto di transumanesimo, quale radicalizzazione del postumanesimo degli anni ’80. Tra gli obbiettivi del transumanesimo vi è quello di ottimizzare l’“inadeguata” natura umana attraverso biotecnologia, nanotecnologie e tecnologie computerizzate. È il sogno dei cyborgs che prende forma in una visione utopica: il corpo è concepito come un veicolo oggettivabile o come un dispositivo che è esterno a noi, soggetto alla nostra manipolazione e uso arbitrari. Questa visione è supportata da due opposte concezioni: da un lato, quella naturalistica che suppone la determinazione biologica dell’essere umano; e dall’altro, la posizione volontaristica che invece presume che non ci sia o non ci debba essere alcuna determinazione biologica dell’individuo. Entrambe, se pur opposte, sono fondate sulla stessa premessa: l’opposizione dualista tra il corpo e la mente, la quale non prende in considerazione la caratteristica antropologica della nostra esistenza, cioè il suo essere incarnata. La coscienza non può essere colta o intuita attraverso la teoria dell’informazione, cioè attraverso lo studio dell’analisi ed elaborazione su mera base matematico-statistica della comunicazione tra viventi, perché’ la nostra esistenza è inseparabile dalla nostra corporalità, dal nostro essere senzienti e socialmente collocati in un determinato contesto storico-culturale.
L’ultimo capitolo della prima sezione si interessa della relazione tra empatia e realtà virtuale, ponendo una domanda abbastanza controversa e radicale: possiamo provare un’empatia con l’atro autentica attraverso i media e la comunicazione digitale? Fuchs fornisce delle argomentazioni significative contro una teoria dell’empatia concepita come una sorta di proiezione negli altri delle nostre rappresentazioni interne, siano esse in termini di Theory of Mind and of Simulation Theory. L'autore distingue tre diversi tipi di empatia: quella primaria e intercorporeale; quella estesa, fondata sulla rappresentazione immaginativa dell’altro; e quella immaginaria, diretta verso persone immaginarie e fisicamente assenti. In quanto fenomeno complesso, l'empatia è costituita, da un lato, da componenti implicite, corporee, derivanti dall’intercorporeità diretta, e, dall’altro, da componenti esplicite, cognitive e virtuali. Il rischio di rendere l’altro virtuale si basa sulla questione della disincarnazione: la fantomatizzazione della presenza vissuta va di pari passo con la disincarnazione della comunicazione, come si può osservare nella psicoterapia online o negli incontri virtuali. Le emozioni fittizie prevalgono in questo contesto proprio a causa della crescente desensualizzazione, dell’immaginario fantasma e delle presenze illusorie tipiche della virtualizzazione.
La seconda sezione del libro si intitola Cervello, persona e realtà ed è composta da quattro capitoli. Nel primo capitolo, l’autore torna sulla tesi centrale del suo libro precedente (2018) ampliandone alcuni capisaldi. Dopo aver chiarificato sia come l’identificazione del cervello con la persona risulti impropria, sia come il concetto di personalità non possa essere contenuto nella premessa dualistica (coscienza e cervello, mentale e fisico) che continua a caratterizzare le moderne neuroscienze, Fuchs sottolinea quanto errata sia la riduzione dell’esperienza soggettiva a un epifenomeno del cervello. Al contrario, egli sottolinea come il cervello sia solo un organo di mediazione che garantisce la funzionalità del vivente, ma non costituisce la sede della persona. La soggettività incarnata non è confinata a una comprensione neurobiologica; piuttosto essa non può prescindere dall’intenzionalità operativa che il corpo possiede e che si evolve ed adatta in base all’ambiente in cui si trova. Le disposizioni neurali corrispondenti sono a loro volta incorporate nella costante interazione tra movimento corporeo, reazione e resistenza dell’ambiente in cui e’, e percezione cinestesica, tattile e visiva. Ciò significa che l’embodiment modells il nostro modo di essere nel mondo: la preminenza della corporeità modella anche il dominio intersoggettivo. Contro ogni visione individualista e sostanzialista, Fuchs sottolinea la struttura dinamica e aperta dell’autocoscienza, concepita non come una funzione localizzata nel cervello, quanto come una struttura integrale dell’organismo nella sua reciproca interazione con l'ambiente.
Il capitolo successivo è dedicato alla difesa dell’intuizione della libertà nell’esperienza pratica contro ogni determinismo. Superando le ontologie dualistiche di matrice cartesiana, l’autore riparte dal riconoscimento fondamentale della persona come un’unità psicofisica, le cui decisioni sono processi di vita in cui componenti mentali, emotive e intellettuali interagiscono tra loro. Contro la prospettiva naturalistica, per la quale la persona si limita a “ratificare” le decisioni del cervello, Fuchs evidenzia quanto sia centrale la cosiddetta possibilità controfattuale nel momento in cui siamo chiamati a prendere decisioni. Le decisioni e le azioni libere fanno parte del processo della vita globale, che comprende deliberazioni coscienti e le loro corrispondenti attività neurali.
Nel terzo capitolo, l’autore si addentra in un denso confronto con il neuro-costruttivismo, e con la prospettiva secondo cui siamo racchiusi nel nostro cervello al pari di un mollusco nel proprio guscio; da ciò ne deriva che il mondo qualitativo dei sensi è un mondo di illusione. Questo approccio è una conseguenza di quel processo di naturalizzazione della mente per mezzo della de-antropomorfizzazione: l’immagine dell’uomo viene progressivamente destrutturata. Questo porta a una sorta di neuro-solipsismo in cui non c'è più spazio per un incontro dialogico tra le persone, piuttosto tra un cervello e l’altro. Critico con questa visione, Fuchs osserva come in realtà noi abitiamo tutto il nostro corpo, non solo il cervello. Il corpo vissuto in prima persona e’ quello stesso corpo che viene osservato in terza persona. La mediazione di entrambe le prospettive avviene attraverso la prospettiva della seconda persona, che rivela la vita come un complesso intreccio di aspetti. È nella prospettiva della seconda persona che possiamo incontrare l’altro come soggetto incarnato, come unità fisico-esperienziale in uno spazio condiviso.
L’ultimo capitolo di questa sezione supporta la tesi secondo cui il mondo sperimentato non è un’illusione, un modello o un costrutto, quanto un’esperienza incarnata derivante dall’interazione sensomotoria e sociale tra la persona e il suo ambiente. Utilizzando le risorse della fenomenologia in combinazione con l’approccio enattivista alla cognizione, l’autore mostra come la percezione non sia né una rappresentazione interiore né una simulazione di un mondo esterno, ma una rivelazione attiva e sensomotoria del mondo. Percezione e movimento sono quindi legati l’uno all’altro in processi circolari continui che danno forma a una soggettività incarnata ed estesa. Estremamente importante in questo contesto è la nozione di causalità circolare, che Fuchs ha elaborato altrove (2018, 2020), intesa sia all’interno dell’organismo (circolarità verticale tra livelli di sistemi superiori e inferiori) sia nelle relazioni dell’organismo con il suo ambiente (circolarità orizzontale, principalmente legata alle interazioni sensomotorie e sociali). In entrambi i tipi di relazioni, l’esperienza soggettiva gioca un ruolo cruciale. Particolarmente interessante è la sezione sulla percezione nelle persone che hanno ricevuto una diagnosi di disturbi dello spettro schizofrenico. In queste esperienze psicopatologiche si assiste a una radicale soggettivazione della percezione. I pazienti schizofrenici non sono in grado di cogliere gli oggetti reali attraverso la loro percezione. Diventano invece spettatori del loro stesso vedere, limitandosi a essere il soggetto di una sorta di mondo esterno.
L'ultima sezione del libro, intitolata Psichiatria e società, è composta da tre capitoli. Nel primo, Fuchs affronta le questioni epistemologiche relative all’oggetto e al metodo della psichiatria, alla questione dei sistemi di classificazione dei disturbi mentali e alla necessità di chiarire il significato di cioè che si intende con l’espressione “buone pratiche cliniche”. Il capitolo ribadisce la necessità di superare il riduzionismo neurocentrista per cui le “malattie mentali” sono considerate come disfunzioni cerebrali. Come e’ noto, Jaspers si riferiva a questo approccio con l’espressione “mitologia del cervello” per dimostrare già allora come l’approccio neurofisiologico alla spiegazione della vita della mente fosse insufficiente. Questa idea nutre le riflessioni di Fuchs sullo stato della psichiatria contemporanea e sulla necessità di una medicina relazionale. Nella sua acuta analisi degli approcci contemporanei alla salute mentale, l’autore parla provocatoriamente di una “psichiatria senza psiche”, cioè di una psichiatria che ha dimenticato la psiche a favore di un approccio cerebrocentrico alla salute mentale. Considerando la causalità circolare al centro della nostra esistenza, Fuchs sostiene un concetto e una pratica di psichiatria intesa come medicina relazionale in cui biologia, psicologia, scienze umane e cognitive lavorano insieme per comprendere la psiche e le sue interazioni. Al centro di questa visione non c’è una mente disincarnata, piuttosto la persona, l’essere umano incarnato, vivo e libero.
Il capitolo successivo è dedicato all’esplorazione del senso del self in persone con demenza. L’obiettivo principale di questo capitolo è quello di fornire una critica al concetto di personalità in cui il corpo è relegato al ruolo di mero veicolo del cervello, e la persona è ridotta alla sua razionalità e alla cognizione. Fuchs propone un concetto di personalità umana costituita principalmente da una socialità che si manifesta nel dominio pre-riflessivo e intercorporeo del sé. In tal senso, centrale e’ il concetto di memoria corporea: anche il corpo ha una sua storia che, fin dall’infanzia, è sedimentata nelle abitudini sensomotorie e nelle abilità di relazione con le persone e gli oggetti che ci circondano. Questa memoria corporea garantisce la continuità del sé anche quando le facoltà cognitive sono compromesse dalla demenza. L’autore si confronta con la lunga tradizione cognitivista che affonda le sue radici nella tesi di Locke sulla continuità della persona. Fuchs sviluppa quindi un approccio fenomenologico della demenza basato sulla memoria corporea, sull’espressione corporea e sul comportamento, che consente di ripristinare un concetto di persona al di là di una visione incentrata solo sul cervello e capace di superare lo stigma che circonda i gravi deficit cognitivi che affliggono i pazienti con demenza.
Nel capitolo finale, l’autore offre una ricca discussione di due forme di temporalità che caratterizzano la relazione con la corporeità: da un lato, il tempo ciclico del corpo vissuto (che non si limita al battito cardiaco, alla respirazione, ai ritmi circadiani o ai cicli ormonali, ma comprende anche le azioni che compiamo in modo automatico e le abitudini pre-riflessive del corpo); dall’altro, il tempo lineare, costruito dalla modernità nel mondo culturale. Questi due ordini di tempo spesso procedono armoniosamente, ma possono anche entrare in frizione. Se i processi ciclici vengono trascurati, ciò può portare a disturbi a livello fisico, psicologico e sociale. Il tempo ciclico biologico è alla base del processo di autoconservazione della vita animale in generale e di quella umana in particolare. Esso getta le basi anche per la corrispondente esperienza ciclica temporale: l’azione e la percezione sono integrate nelle rispettive unità temporali di cui Husserl aveva parlato, cioè l’impressione primaria, la ritenzione e la protensione. La temporalità dell’esperienza implicita e corporea è ritmicamente determinata. La forma primaria e implicita dell’esperienza temporale rivela la struttura ritmico-dinamica del corpo vissuto e dei processi di vita che sono alla base di questa stessa esperienza. Cosa accade quanto il tempo ciclico, legato al corpo vissuto, entra in conflitto con il principio lineare del tempo, tipico della cultura occidentale? Possiamo notare una sorta di separazione degli ordini temporali, che si manifesta in crisi a diversi livelli. Ciò è particolarmente evidente nelle condizioni psicopatologiche, in cui la ritmizzazione della vita quotidiana non funziona più e la desincronizzazione assume la forma o dell’accelerazione (come nel caso delle esperienze maniacali) o in quella della decelerazione (come nel caso della depressione).
Uno dei meriti indiscussi di questo libro è quello di evidenziare come le avanzatissime frontiere della tecnologia abbiano cambiato il modo di praticare la medicina, non solo in termini di applicazione della robotica o dell’intelligenza artificiale alla prassi medica, ma anche in termini di relazioni interpersonali. Il rischio di ridurre la salute - in senso lato - e la salute mentale in particolare a una serie di algoritmi e di analisi di dati è a portata: “Attraverso l’osservazione e la raccolta dei dati mediante procedure di misurazione siamo in grado di sviluppare una conoscenza quasi matematica di come la malattia possa essere influenzata” (Gadamer 2018, 98-99, trad. mia). Tuttavia, la salute “è una forma di essere nel mondo, di essere insieme ai propri simili, di impegno attivo e gratificante nei propri compiti quotidiani” (Gadamer 2018, 113, trad. mia). La salute mentale è imprescindibilmente connessa al nostro essere vivente, incarnato e sociale, e proprio per questo la pratica della cura richiede un’esistenza incarnata ed estesa che viene condivisa tra coloro che necessitano di cure e i curanti (Brencio 2023). In Defence of the Human Being è un libro che funge da bussola, sia per i filosofi che per i clinici e i neuroscienziati. Ci ricorda che gli esseri umani non possono essere dualisticamente divisi in due sostanze distinte, ma sono fatti di carne e sangue: sperimentano, sentono, pensano - come soggetti viventi incarnati, inseriti nel mondo e in una relazione reciproca con esso. “La vita può essere conosciuta solo dalla vita”, scriveva Hans Jonas lo scorso secolo; attraverso quest’opera, Thomas Fuchs rilancia questa lezione e spinge la filosofia a confrontarsi con le nuove sfide del nostro tempo.
Nota bibliografica
Brencio, F. (2023), From digital medicine to embodied care, in E. Boublil, S. Ferrarello (eds.), The Vulnerability of the Human World, Springer.
Fuchs, T. 2018. Ecology of the Brain: The Phenomenology and Biology of the Embodied Mind. Oxford: Oxford University Press.
Fuchs, T. 2020. “The Circularity of the Embodied Mind”. Front. Psychol. 11:1707. doi: 10.3389/fpsyg.2020.01707
Fuchs, T. 2021. In Defence of the Human Being. Foundational Questions of an Embodied Anthropology, Oxford: Oxford University Press.
Harari, Y. 2016. Homo Deus. A Brief History of Tomorrow. London: Harvill Secker.
Gadamer H. G. (2018). The Enigma of Health: The Art of Healing in a Scientific Age. Wiley. Kindle Edition.
Jaspers, K. 1997. General psychopathology. Baltimore: Johns Hopkins University Press.
Jonas, H. 2001. The Phenomenon of Life: Toward a Philosophical Biology. Evanstone, IL: Northwestern University Press.
Narayanan, D. 2022. “The Dangerous Populist Science of Yuval Noah Harari”, available at https://www.currentaffairs.org/2022/07/the-dangerous-populist-science-of-yuval-noah-harari
Plessner, H. 2019. Levels of Organic Life and the Human: An Introduction to Philosophical Anthropology. New York: Fordham University Press.
Thomas Fuchs è Professor di Filosofia e Psichiatria all’Università di Heidelberg, e direttore della sezione “Psicopatologia Fenomenologica e Psicoterapia” presso la stessa università. Le sue principali aree di competenza includono la fenomenologia, la psicopatologia, e l’enattivismo. È stato coordinatore di diversi progetti di ricerca nazionali e internazionali ed è autore di oltre 300 pubblicazioni tra riviste, capitoli di libri, monografie e curatele. È anche co-editore di Psychopathology e membro del comitato editoriale di altre importanti riviste scientifiche. È Presidente della “Deutsche Gesellschaft für Phänomenologische Anthropologie, Psychiatrie und Psychotherapie” (DGAP).
Francesca Brencio è ricercatrice in Filosofia all’Universita’ di Siviglia (Spagna). E’ fondatrice, coordinatrice e docente del Pheno-Lab – A theoretical laboratory in Phenomenology and Mental Health e membro del comitato esecutivo del The Royal College of Psychiatrists – SIG in Philosophy.
Nel 2021 è stata insignita del The Seal of Excellence, conferito dalla Commissione Europea nel contesto del Programma Europeo per la Ricerca e l’Innovazione 2014-2020. Accanto a numerosissime pubblicazioni in riviste italiane e internazionali di filosofia, medicina e psichiatria, si ricordano La cura. Dall’oggetto alla relazione, Castelvecchi Editore, Roma (in uscita); Psiche, Castelvecchi Editore, Roma (in uscita); Phenomenology, Neuroscience and Clinical Practice. Transdisciplinary Experiences, Springer (in uscita).